Da due anni molte persone hanno iniziato a lavorare da casa a causa della pandemia di COVID-19. Abbiamo già parlato di quanto l'Human Factor mancasse inizialmente a molti lavoratori. Ora, invece, ci stiamo avviando verso un futuro di lavoro più flessibile dove l'approccio ibrido sta diventando la nuova norma per molte aziende.
Stando ad un recente sondaggio condotto a livello mondiale vi è, però, una crescente preoccupazione che il "bias di prossimità" possa portare a disuguaglianze tra dipendenti da remoto e in ufficio. Scopriamo insieme cosa può fare il datore di lavoro per garantire la flessibilità necessaria ai suoi dipendenti senza intaccare le loro opportunità di crescita all'interno dell'azienda.
Cos'è il bias di prossimità
Il bias di prossimità è quel pregiudizio secondo cui si ritiene che i lavoratori che possono/vogliono recarsi in ufficio tutti i giorni ricevano un trattamento preferenziale rispetto a coloro che scelgono lo smart working, accedendo ad opportunità di carriera garantite dalla presenza fisica in ufficio. Questo differenza andrebbe ad intaccare soprattutto determinate categorie di lavoratori, in quanto, stando al sondaggio, sono soprattutto le donne (52%) e i lavoratori con figli (79% contro 63% senza figli) a preferire il lavoro ibrido.
Questo pregiudizio è fomentato dalle preferenze molto diverse tra dirigenti e dipendenti. Il 42% dei dirigenti dichiara di lavorare dall'ufficio 3-4 giorni alla settimana contro appena il 30% dei non dirigenti. E il 75% dei dirigenti che attualmente lavorano completamente da remoto dichiara che preferirebbe lavorare dall'ufficio tre o più giorni alla settimana, contro il 37% dei non esecutivi.
Allo stesso tempo, il bias di prossimità è la preoccupazione numero uno dei dirigenti rispetto a lavoro flessibile.
Il 41% dei dirigenti teme che i lavoratori da remoto siano meno produttivi e che non sentano il senso di appartenenza all'azienda.
Stando al suddetto sondaggio, però, i lavoratori da remoto e ibridi a livello mondiale ottengono i punteggi più alti rispetto agli impiegati che lavorano in presenza: maggior produttività, maggior equilibrio tra lavoro e vita privata, migliore gestione dello stress, maggior senso di appartenenza al lavoro e migliori relazioni con colleghi.
Occorre ora sdoganare questo bias e assicurarsi che ogni dipendente continui a sentirsi incluso e abbia le stesse opportunità di migliorare la propria carriera rispetto ai colleghi che possono recarsi in ufficio più frequentemente. L'obiettivo è quello di raggiungere l'equità di collaborazione.
Equità di collaborazione: come raggiungerla
L'equità di collaborazione è quando tutti i lavoratori hanno la capacità di contribuire e comunicare allo stesso modo, indipendentemente dalla posizione, dal ruolo, dal livello di esperienza, dalla lingua e dalle preferenze del dispositivo.
Mentre è più facile avere tutti in loco o tutti fuori sede, i modelli ibridi richiedono una riflessione più approfondita sulle sfide sociali, organizzative e tecnologiche. A tal proposito, Google ha adottato tre pilasti per raggiungere l'equità di collaborazione all'interno del proprio team: equità di rappresentanza, equità di partecipazione e equità di informazione.
Equità di rappresentanza
Raggiungere l'equità di rappresentanza significa che tutti i dipendenti possono essere visti, ascoltati e rappresentati allo stesso modo, sia che lavorino fuori sede che in sede. Quando tutti partecipavano alle riunioni in remoto, tutti condividevano riquadri di dimensioni uguali sui video. In un ambiente ibrido, la visione è distorta e si percepisce una sorta di gerarchia.
Alcuni di questi problemi possono essere risolti con la tecnologia: strumenti come Google Meet e Zoom compensano la scarsa illuminazione e limitano l'uso dei dati su rete mobile per garantire il video durante la chiamata. Ma occorre adottare anche nuove norme sul luogo di lavoro: ad esempio, alcune organizzazioni hanno implementato criteri in base ai quali se una persona si unisce a una riunione da fuori sede, tutti si uniscono tramite dispositivo in modo che siano tutti rappresentati allo stesso modo.
Equità di partecipazione
Pensiamo all'equità di partecipazione come alla capacità di ospitare, presentare e partecipare allo stesso modo, indipendentemente dal luogo. I team possono promuovere l'equità di partecipazione utilizzando moderatori della riunione che incoraggiano l'uso di funzionalità di alzata di mano in modo che nessuno domini la conversazione o interrompa, una sfida che spesso si presenta quando più persone si trovano nella stessa posizione. Inoltre, molte persone trovano fastidioso vedere la propria immagine, quindi consentire agli utenti di nascondere il proprio feed video migliora decisamente l'esperienza.
Equità dell'informazione
Equità informativa significa che, indipendentemente dal fatto che lavorino in sede o fuori sede, le persone hanno uguale accesso alle informazioni. Garantire il libero flusso di informazioni è la chiave per migliorare il pensiero, la creatività e la cooperazione a lungo termine tra i team.
Si può supportare questa mentalità proattiva attraverso la tecnologia assicurando che le riunioni abbiano ordini del giorno, siano registrate o trascritte e abbiano informazioni condivisibili e accessibili.
L'emergenza sanitaria ha incrementato l'uso di diversi strumenti atti a migliorar il lavoro a distanza. Non è sempre semplice comprendere qual è la strategia più adatta alla propria realtà e talvolta si tende ad introdurre strumenti di cui non si ha bisogno e a non cogliere eventuali problemi per scarsa comunicazione interna.
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